Confessione Sacramento della gioia, di papa Francesco

di ANDREA TORNIELLI

La confessione “sacramento della gioia”, anzi una “festa”, in Cielo e in terra. Martedì 14 settembre, nello stadio di Košice, era come se Papa Francesco guardasse negli occhi ciascuno dei giovani accorsi ad accoglierlo per invitarli a vivere il sacramento della penitenza in modo nuovo. E ciò che ha detto loro il Successore di Pietro è stato di conforto non soltanto per i presenti, ma per chiunque abbia seguito quell’incontro in televisione o sul web, o abbia anche soltanto letto il discorso papale.

Non è il sacramento, scarsamente frequentato di questi tempi, a cambiare. Ciò che Francesco ha proposto è uno sguardo sulla confessione completamente diverso rispetto al vissuto di tantissimi cristiani e a un certo retaggio storico. Innanzitutto, il Papa ha indicato nel sacramento “il rimedio” per i momenti nella vita in cui “siamo giù”. E alla domanda di una giovane, Petra, che gli chiedeva come potevano i suoi coetanei «oltrepassare gli ostacoli sulla via verso la misericordia di Dio» ha risposto con un altro interrogativo: «Se io vi domando: a che cosa pensate quando andate a confessarvi?… Sono quasi certo della risposta: ai peccati. Ma i peccati sono davvero il centro della confessione?… Dio vuole che ti avvicini a Lui pensando a te, ai tuoi peccati, o a Lui?».

La via cristiana, aveva detto due giorni prima Francesco a Budapest, comincia con un passo indietro, con il togliersi dal centro della vita per fare spazio a Dio. Questo stesso criterio, questo stesso sguardo applicato alla confessione può provocare una piccola-grande rivoluzione copernicana nella vita di ciascuno: al centro del sacramento della penitenza non ci sono più io, umiliato con la lista dei peccati — magari sempre gli stessi —da raccontare con fatica al sacerdote.

Al centro c’è l’incontro con Dio che accoglie, abbraccia, perdona, risolleva. «Non si va a confessarsi —ha spiegato il Papa ai giovani —come dei castigati che devono umiliarsi, ma come dei figli che corrono a ricevere l’abbraccio del Padre. E il Padre ci risolleva in ogni situazione, ci perdona ogni peccato. Sentite bene questo: Dio perdona sempre! Avete capito? Dio perdona sempre!». Non si va da un giudice a regolare i conti, ma «da Gesù che mi ama e mi guarisce». Francesco ha consigliato ai preti di “sentirsi” al posto di Dio: «Che si sentano al posto di Dio Padre che perdona sempre e abbraccia e accoglie. Diamo a Dio il primo posto nella confessione. Se Dio, se Lui è il protagonista, tutto diventa bello e confessarsi diventa il Sacramento della gioia. Sì, della gioia: non della paura e del giudizio, ma della gioia».

Lo sguardo nuovo sul sacramento della penitenza proposto dal Papa chiede dunque di non rimanere prigionieri della vergogna per i propri peccati —vergogna che «è una cosa buona» —ma di superarla perché «Dio non si vergogna mai di te. Lui ti ama proprio lì, dove tu ti vergogni di te stesso. E ti ama sempre». A quanti ancora non riescono a perdonare se stessi credendo che neanche Dio possa farlo “perché cadrò sempre negli stessi peccati”, Francesco dice: «Dio, quando si offende? Quando vai a chiedergli perdono? No, mai. Dio soffre quando noi pensiamo che non possa perdonarci, perché è come dirgli: “Sei debole nell’amore! ”… Invece Dio gioisce nel perdonarci, ogni volta. Quando ci rialza crede in noi come la prima volta, non si scoraggia. Siamo noi che ci scoraggiamo, Lui no. Non vede dei peccatori da etichettare, ma dei figli da amare.

Non vede persone sbagliate, ma figli amati; magari feriti, e allora ha ancora più compassione e tenerezza. E ogni volta che ci confessiamo —non dimenticatelo mai —in Cielo si fa festa. Che sia così anche in terra!».

Dalla vergogna alla festa, dall’umiliazione alla gioia. Non è Papa Francesco, ma il Vangelo, dove si legge di quel padre che attende con ansia il figlio peccatore scrutando continuamente l’orizzonte, e prima ancora che questi abbia il tempo di umiliarsi sciorinando minuziosamente tutte le sue colpe, lo abbraccia, lo risolleva e fa festa con lui e per lui.

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